
29 Gennaio 2023, Centenario della nascita.
di Otello Fabris
Tornavo a Bassano almeno una volta alla settimana, non riuscendo a star lontano dal centro città, dove avevo vissuto per tanto tempo. Lasciavo appositamente l’auto in destra Brenta, in modo da attraversare a piedi il Ponte Vecchio, gustando la sempiterna emozione che mi suscita dentro . Bellezza, armonia dei luoghi, serenità del paesaggio, storia turbolenta fra quelle strutture sapientemente poste dall’Uomo, realtà sconfinante nel mito, umanità cordiale e fervente.
Di questo panorama faceva parte integrante il Pisto, che quasi sempre incontravo appoggiato sui gomiti, a schiena rivolta verso il parapetto, lo sguardo vòlto all’infinito. Sembrava attendere che “do anzoli de aria”, con lieve fruscìo di ali, gli passassero le dita fra la fluente barba, a pettinargliela.
Da tempo però non lo incontravo più ,ed il prolungarsi dell’assenza mi mise in apprensione.
Seppi da comuni amici che si era particolarmente aggravata la sua malattia e che non riusciva più a camminare: si era chiuso in casa e si era ripromesso di non uscirne più, se non sorretto dalle sue gambe. Una forza interiore straordinaria sosteneva il Pisto ; tanto più forte quanto più egli era consapevole della propria debolezza. Credo che su questa consapevolezza si sorreggesse la fierezza di quest’ uomo, che incarnava in modo totale tutte le peculiarità del montanaro , rude, ma dall’animo nobile e gentile. Alpino fino nel più profondo dell’anima, egli viveva e sentiva compenetrato nella natura, di cui percepiva con estrema facilità ogni minima vibrazione. Della natura, i due più grandi misteri, la vita e la morte, erano i punti di riferimento di ogni suo pensare. La morte,
tuto
e gnente:
un urlo de la vita
el silenzio de un sogno
che se perde
un fiore
che se sfà
sora l’asfalto.
Quando, neopresidente della Pro Bassano, mi proposi di tracciare un profilo storico, fisico e psicologico della Città , forse inconsapevolmente pensavo al Pisto. Lui era la Città.
Orlando Zanolla gli aveva fatto un bellissimo ritratto che portai fra le belle cose che rappresentavano Bassano alla “Fiera del tempo libero” ; successivamente lo volli appeso dietro la mia scrivania.
La grandezza d’animo e la nobiltà di Gino Pistorello non lo esimevano dalla voglia di gioco e di convivialità che caratterizza i bassanesi. Ed eccolo allora scrivere versi a fiumi per tutte le motivazioni più strane, per fare un piacere ad un amico, sparpagliando per ogni dove con noncurante generosità cose di una bellezza immensa o di banalità fanciullesca, goliardiche rime in un macaronico impossibile, retaggio di una cultura latina da moccoletto.
Quando gaveva male
i denti opure i cai
i conta che pipasse
pure Merlin Cocai.
Giravo per le cantine di Bassano – allora avevano ancora la funzione e la dignità di cantine – per realizzare immagini per una mostra; trovai , fra le damigiane di casa Dal Corno – Bonato, un’epigrafe autografa del Pisto dedicata all’amico Bruno, ceramista ed antiquario. Sorvolando sui numerosi errori, che ne fanno più un esempio di latinus veramente grossus piuttosto che di macaronico, vi propongo questo brano, che bene riflette la gioia e l’allegria spensierata nelle quali il nostro poeta amava immergersi in queste occasioni:
A
Brunus Bonatus
in Die Onomastici sui.
Integerrima est vita tua
nobilissimae arti ceramicae
dedicata
inter carolatus ligneum
et sancti et madone rosegatis
hodie
cum summam sapientiam imbriagonorum
et fasoletibus et sopressibus
contornati
festejando est
usque nocti
inter dulcissimo flumine noaundum
vini clari.
Beveranda! Beveranda! Beveranda!
Sursum corda!
Bene tibi augurando!
Il vino e la buona compagnia hanno trovato in Gino un fervido cantore, nemico dichiarato dell’acqua, perché
Dentro ghe canta
solo rospi e rane
ma sempre rauchi
par l’umidità.
Non aveva remore a dichiarare il suo amore per il vino, sostenuto dal fatto che
Nostro Signore
se ‘l vangeo no gò perso
ne ‘e nozze de Cana
gà cambià l’acqua in vin
e no a roverso.
Mi decisi un buon giorno ad andare a trovare Gino, in Contrà del Sole. Mi accolse in pigiama, ma in piedi. Gli stava piovendo sul letto, mi disse, poiché la copertura della casa era sconnessa, ed il proprietario si rifiutava di farla riparare. La scala di accesso aveva un pianerottolo di pietra sfondato ed occorreva fare un salto per raggiungere lo scalino successivo. Sopra, lo sporto del tetto era messo in sicurezza contro la caduta di pezzi di coppo da un leggero telo, già strappato, inchiodato sulle travi. Sul cortiletto interno incombevano, sfondate, aperture di altre abitazioni abbandonate, ricolme di oggetti in sfacelo. Qui viveva l’anima di Bassano, in uno stato di volontario e dignitoso abbandono, fingendo di vivere l’ attesa di una guarigione che non sarebbe mai venuta. Gli dissi che mi sarebbe piaciuto realizzare una nuova edizione delle sue poesie, se mi avesse aiutato a raccoglierle. Ma lui non se ne curava, la cosa sembrava non interessargli nemmeno . Mi fece portare dalla moglie una bottiglia di rosso, un ottimo ed onesto merlot che mi osservò bere con appassionata e malinconica compartecipazione. “Prendi la penna”, mi disse, e cominciò a dettare:
Lettera a Gesù.
Carissimo Gesù
se non vado errato
i resuscitati
siete due,
tu
e Lazzaro.
Ma mentre Lazzaro
è morto due volte
tu
hai rifiutato
l’insulto della vecchiaia.
Ero agghiacciato dalla terribile conclusione di questa Lettera, soprattutto pensando a quanto è stata presente la morte nelle poesie del Pisto. Nonostante questa famigliare attesa dell’evento catartico della sua vita, quanta pena in quell’ “insulto”. E capivo, vedendo le sue mani rattrappite dalla malattia, chiuse per sempre, crudelmente, alla penna del poeta ed al pennello del pittore .E ripartiva, Gino, cercando le parole nell’immensità del suo universo:
Amo
camminare nel vento
come un dio
decaduto
che non può
resuscitare una cometa
né la fiaba di ieri.
E’ questo, forse, il suo ultimo regalo a Bassano.